Museo di Triora 5 La storia

La storia

Se incontri qualcuno a Triora, non è detto che sia un tuo contemporaneo

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Triora, in quanto città dell’entroterra ligure, ha mantenuto per secoli una società complessa. Non va riconosciuta solo con un ruolo agrosilvopastorale.

C’era una classe dirigente, potente, orgogliosa, molto ricca. Imprenditori, spesso molto colti, capaci di andare al di là di quanto imparato nei tre o quattro gruppi scolastici tenuti da religiosi. Gente che conosce il latino, che ha relazioni con il mondo, che va anche per il mondo, che comanda, esplora, opera in campi non conosciuti ai più. Uomini d’affari che hanno ampie proprietà e vivono una vita di buon livello. Conoscono il mondo classico, precristiano, forse praticano l’alchimia, muovono soldi.

Ci sono i professionisti. I notai da cui dipende ogni atto privato e pubblico. I medici che curano secondo le fonti antiche, ma conoscono senz’altro la medicina popolare. Inarrivabili. Triora è luogo di religiosi, sacerdoti e frati, tutti dotati di notevole cultura e capaci di influenzare le coscienze. Amati, ma anche odiati, in quanto uomini onesti. I grandi proprietari si fidano solo del “manente”. Un supercontadino e uomo di campagna, che amministra ampie proprietà.

Poi c’è il mondo dei grandi lavoratori. Il territorio di Triora è popolato di conciatori che fanno un duro mestiere per fornire pelli ai tanti calzolai, celebri già nel Medioevo. Del resto, con un terreno così, difficile e pietroso… senza scarpe… non vai molto lontano. La produzione di lana dà lavoro all’attività tessile. A Triora amavano anche essere eleganti, non avere solo vestiti robusti.

Più di uno, nel tempo, ha manifestato genio artistico. È terra di pittori, capaci di muoversi tra Liguria, Piemonte, Monaco e Provenza. C’è chi fa fortuna con la pietra. Bella cosa, far soldi dalle pietre, ma se è l’ardesia di qui…per tre mesi la cava è tua.

I più vivono la vita dei campi e dei boschi. Dai boschi la legna per gli abili maestri falegnami locali i “bancalari” o le castagne che è il cibo di tutti i giorni per molti. Ancora, la legna per alimentare l’attività dei fabbri, dunque dei maniscalchi, che mettono “le scarpe” a cavalcature e buoi. Ai margini del bosco, sempre al caldo, lavorano i carbonai. Silenziosi e cupi, uomini neri. Dai campi, il tutto, che siano gli ortaggi o il fieno per gli animali d’inverno. Nel tempo si accettano anche prima di altri le produzioni del Nuovo Mondo, come le patate.

Sulla porta dei molini ci sono i mugnai, uomini di fiducia dei più ricchi e capaci di produrre farine di qualità. Osservati dai pastori che muovono mandrie e greggi: non sono di Triora, sono dell’area di Briga, ancora più in alto. Tanta gente cammina su strade e sentieri, con asini o muli. Conoscono le piante, cercano i funghi, ma è sempre bene stare attenti, nei posti di passaggio e molto ricchi, non mancano i briganti.

Il museo racconta il mondo di tutti, partendo dal basso.

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I mestieri del passato

L’uomo d’affari

Un graffito di un portale di Triora rappresenta una persona del passato. Anche se è un po’caricaturale, si nota l’abbigliamento elegante, il cappello, l’età avanzata e il cammino deciso: è forse un esponente delle tante famiglie abbienti di Triora, amministratori di terre e case.

Il “professionista”
(notaio, avvocato, medico, fisico) La presenza di una solida formazione scolastica di base, affidata a religiosi, ha permesso la formazione di tante figure professionali: particolarmente importanti sono i notai, gli avvocati, i medici, questi ultimi necessari in una zona di passaggio e commercio.
Il religioso
(parroco, cappellano canonico, religioso regolare) L’autorità storica del parroco si affianca a quella di tanti cappellani compresi nel “collegio” dei sacerdoti (per questo la parrocchiale di Triora è detta “collegiata”). Celebravano messe su altari della parrocchiale e nelle cappelle del territorio. In più, a Triora c’erano conventi e le scuole locali hanno formato il primo livello di studio per i religiosi che hanno lasciato la città per tanti monasteri e chiese in Italia.
Il manente

È l’uomo di fiducia delle famiglie più agiate di Triora. Colui che gestisce le loro terre, in base ad un solido accordo. Specialista in campo agrario e forestale, è molto di più di un semplice contadino. Controlla squadre di lavoratori ed è una professione che giunge fino al XX secolo.

Il carbonaio

Lavoro umile, faticoso e attento, necessario per produrre il carbone di legna. Possiede una competenza specifica nella conoscenza del legno e del fuoco. Costruisce la carbonaia e controlla la combustione interna per molti giorni, vivendo a ridosso del bosco.

Il conciatore

La notevole presenza di animali da macello è direttamente collegabile alla presenza di un’attività di lavorazione delle pelli. Si tratta però di un lavoro duro e a suo mondo inquinante per l’impiego di sostanza sì naturali, ma capaci di generare pessimo odore e rendere putride le acque. Per questo era loro riservato uno spazio isolato.

Il calzolaio

La disponibilità di pelle conciata era legata ad un’attività tradizionale della Liguria, grande esportatrice di scarpe nel Medioevo: fabbricare le scarpe. Le strade di pietra rendevano necessarie robuste calzature e la capacità di realizzarle si era evoluta nel tempo. Fra Triora e Molini, nell’anno 1900 c’erano cinque calzolai.

Il fabbro ferraio e il maniscalco

Dove c’è legno c’è ferro perché serve calore. Dove ci sono molti animali e le strade di pietra che vanno ai passi alpini ci sono i maniscalchi, coloro che “mettono le scarpe” a muli, asini, cavalli e buoi. Nomi di luogo ricordano la presenza di ferriere. I maniscalchi, nell’anno 1900 erano quattro, fra Triora e Molini.

I tessitori, i sarti
(6 a Triora con Molini nel 1900 e tre sarti e 5 commercianti di tessuti e 4 cappellai) Le norme relative ai tessitori negli Statuti di Triora lasciano intendere una forte specializzazione nella produzione di panni, ovviamente di lana ricavata dalle greggi della zona. Da qui nasce il vestiario tipico dell’area, confezionato, nel 1900, fra Triora e Molini, da sei tessitori, tre sarti e quattro cappellai. E ben cinque erano i commercianti di tessuti.
Il cavatore di ardesia
Il capitolo 87 della riforma degli Statuti nel 1592 si riferisce agli interessi di chi scopriva e poteva cavare per tre mesi nelle cave di ardesia, detta clapa, in latino per il dialettale ciappa: la lastra per l’impiego edilizio. Appare chiaro che l’altro numero di elementi architettonici in pietra visibili nella zona è legata alla capacità di questi artigiani, affinata nel tempo e seguendo stili e gusto.
L’artista
(ricordare i Gastaldi e altri pittori dell’area della valle Argentina…con i riflessi culturali) Le fonti storiche e lo studio territoriale rivelano come Triora sia stata terra di artisti. Ispirati anche dalla qualità delle opere d’arte fatte giungere nella ricca città, nel tempo si sono affermati pittori e miniatori di libri. Fra i molti si ricordano Bernardo Rebaudo e, nel corso del Seicento, Giovanni Battista e Lorenzo Gastaldi, attivi tra Liguria, Piemonte, Nizzardo e Principato di Monaco.
Il mugnaio
Alcuni possidenti così come associazioni caritatevoli di Triora e dintorni possedevano molini per produrre farina di grano, ceci e castagne. Così già nel Medioevo e trecento anni fa. Il protagonista è però chi conduce il mulino: il mugnaio. A lui spetta una parte del macinato ed è tenuto a far pagare la tassa di stato su quanto prodotto. Nell’attuale territorio di Triora era importante un mulino nelle terre alte vicino a Verdeggia, sul torrente Capriolo. La maggior parte, invece, si trovava, ovviamente, ai Molini…di Triora, nel fondovalle. Nell’anno 1900 tra Triora e Molini c’erano tre commercianti di farine e tre mugnai, i fratelli Lanteri, un Lantrua e un Moraldo.
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In cucina

Ā matin castagne, a megiudì pestümi, â sèia castagnùn”, cioè “Al mattino castagne, a mezzogiorno i residui della pestatura delle castagne, alla sera castagne secche di seconda scelta”.

Triora e il suo territorio sono anche una scoperta gastronomica. C’è la semplicità di tutti i giorni, genuina, frugale, ricordata da questa prima frase. Però c’è anche la tradizione di una città e del suo territorio, di singole famiglie, anche molto ricche ed esigenti nonché di ricette proprie di solo insediamento, insomma, di di una attuale frazione. Si parla sempre e comunque di “cucina bianca”.

Si tratta dell’alimentazione tipica della montagna ligure occidentale. Di una terra alta che vede il mare, ma sorprende per la sua unicità. Si dice “bianca” perché è fatta di ingredienti come farina di frumento o altri cereali, farina di castagne, latte e formaggi, rape e più tardi patate, legumi, pane…volendo stoccafisso e baccalà… Insomma, il colore non emerge. Solo bianco. Si parte dalla secolare presenza della produzione di grano, di cereali, di castagne. Da qui la farina, bianca e la pasta, fresca per veloci piatti legati al mondo dei pastori e della vita nei campi o per le onnipresenti torte salate, un tempo cotte nei forni pubblici del paese. E quindi pane, quello di Triora, che rientra anche nell’impiego come elemento di base per alcune preparazioni semplici da forno. Mai sprecare nulla.

Non mancano preparazioni più complesse, con il grano pestato a mano. Più che altro più lunghe, perché si parla di quanto arriva in eredità da una vita più lenta e misurata. I musei di Triora vi fanno scoprire la cucina di un tempo, con il paiolo sempre sul fuoco. Un mondo di zuppe, una conoscenza profonda di legumi e soprattutto di erbe, con tutte le loro caratteristiche. Positive, nel caso. È quei che si pensa che una zuppa d’aglio sia afrodisiaca. Il mondo gastronomico locale è anche un mondo di tradizioni ricche: non manca la cacciagione, non manca l’osservare i tempi in cui la religione impone una “penitenza” che si traduce, da seicento anni a questa parte, allo stoccafisso, al pesce salato, che vengono da lontano e alle locali trote e lumache. Spesso si incontrano sapori forti, come quelli del sanguinaccio, della ricotta fermentata, il brùssu. Piacevano e piacciono. E per la festa, oltre ai fritti, ecco i tanti dolci, la cui memoria affonda nel tempo (miele, nocciole, castagne, latte). Triora e il suo territorio, l’ambito brigasco con la cucina di Realdo, i ristoranti, le botteghe di prodotti sono una scoperta gastronomica in cui bisogna pensare oltre il modello classico di luoghi che guardano al mare. E capire che cosa sono, magari, il Bernardun, i Ciapazoi, i Sugeli o la Brususa… da scoprire e da gustare. Ricordando che la presunta strega Franchetta Borelli, durante le torture, aveva chiesto da mangiare: prima una minestra di pangrattato. Poi alzò le richieste… una torta…

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Lo sfalcio veniva eseguito durante il mese di agosto. Ad esempio, un ettaro e mezzo di prato, in pratica due campi di calcio, si falciavano molto bene, in otto giornate di lavoro. Questo se i falciatori erano pochi. Più erba, più falciatori. Con pochi attrezzi per secoli efficaci che potrete conoscere all’interno del museo. Basti pensare che ogni lavoratore si portava dietro almeno tre o quattro lame, per cambiarle ogni volta che una di loro tagliava meno.

Il fieno prodotto veniva trasportato in siti coperti e sicuri. Era il periodo di grande traffico di muli, andata e ritorno più volte al giorno, anche se in tempi più recenti erano state installate le teleferiche. I prati erano poi osservati, curati tutto l’anno, quando era necessario estirpare arbusti che avrebbero altrimenti preso il posto dell’erba.

Durante il periodo di lavoro presso i prati più isolati era necessario stabilirsi con tutta la famiglia in casoni in muratura, vivendo in assoluto contatto con la Natura. Era la vita del prato. Di notte, poca luce, le stelle e i sogni osservando lontani i lumi di Triora o di paesi ancora più lontani se non addirittura degli insediamenti lungo la costa.

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Tra speleologia e archeologia: il gioco della scoperta

Il territorio di Triora racconta e racconta da tempi molto lontani da noi oggi. L’esplorazione, anche solo visiva, dei luoghi, rivela una notevole presenza di siti archeologici preistorici. Sono tutti collocati vicino o all’interno di grotte.

Le tante grotte, perlopiù piccole o ripari, di una roccia che appare continuamente forata come un formaggio svizzero. Lì dentro sono state rinvenuti i resti di una presenza umana che va da più di 5000 a 2000 anni fa circa. Si tratta in generale di luoghi di sepoltura, anche se si sono ritrovati resti di animali e quindi qualche riparo poteva servire per attività di caccia. È stato possibile assegnare un periodo di frequentazione dei luoghi in modo preciso grazie anche all’osservazione di ceramica lì presente. È il principio dello scavo archeologico “a strati”.

Ogni strato, un’epoca. Perché nello strato c’è del materiale che si può datare, anche solo per confronto con altri presenti…magari in altre zone della Liguria e non solo. Si parte dall’età della pietra più recente, il neolitico. Sono i tempi in cui si diffonde già l’agricoltura e c’è la pastorizia… una costante per Triora e dintorni. 5000 anni fa.

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Si passa poi all’età del rame, un primo metallo, da 450 anni fa e si arriva all’età del bronzo e poi del ferro, che coincide con il passaggio della Liguria sotto il controllo romano, 2200 anni fa circa. Ci sono delle costanti, per millenni…si parla di genti che hanno utilizzato molto a lungo piccole conchiglie di provenienza marina per creare collane ed ornamenti. Il mare, in fondo, è un po’più in là.

L’ornamento è presente, sempre, come per i bracciali in bronzo conservati nel Buco del Diavolo, vicino a Borniga, frazione di Triora. Sì, i nomi di questi luoghi sono affascinanti: Arma (vuol dire “grotta” in lingua ligure preromana) della Grà di Marmo, Arma della Gastéa, Tana della Volpe e Buco del Diavolo. Luoghi poco accessibili, dove hanno lavorato archeologi / speleologi senza paura. Si sono imbattuti in oggetti incredibili, come quelli in pasta di vetro dell’Africa del Nord. Giunti fino qui su rotte commerciali di 3500 anni fa.

Ci si interroga anche sulla lunghissima tradizione locale della sepoltura in grotta, che è arrivata a ridosso, se non oltre, la civiltà delle tribù liguri montane. Abitatori di luoghi difesi in altura. Ce ne sono diversi in zona e uno dovrebbe corrispondere all’attuale abitato di Triora. Emozionante…

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Guardie e ladri

Nel territorio di Triora si può giocare a guardie e ladri. Oggi. Facciamo le squadre. Da una parte i ladri. Come nel passato: i ladri assaltano i mercanti sulle strade oppure tagliano alberi nei boschi senza permesso. Approfittano della possibilità di rifugiarsi nei vicini territori non di Triora, ma legati ai Savoia; le guardie: il “cavallero” di Triora con qualche guardia pubblica, i suoi “famigli”.

Quando la situazione peggiora potete arruolarvi con i soldati della Corsica al servizio della Repubblica di Genova. Però state attenti, sempre. I ladri sono conosciuti, sono “banditi”, molti di loro sono già condannati più volte, non hanno niente da perdere. Se pensate di essere buoni camminatori o di saper correre e saltare fra le rocce, di saper sparare con fucili e pistole caricate dalla parte anteriore o di saper usare ogni tipo di arma da taglio, se potete passare notti insonni senza un riparo, nei boschi e al freddo, questo gioco lo potete fare. O da una parte o dall’altra.

Attenzione: può durare molto poco. Da guardie, avrete un basso stipendio. Da ladri, nella migliore delle situazioni, finite a remare su di una galera genovese, legati al vostro posto. Sei mesi potreste sopravvivere.

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Un mondo bambino e le statue dei presepi

Costruire con il legno. Anche qualcosa che impressiona e diverte bambini e ragazzi. A Triora, come in altre ricche città liguri, si utilizzavano manichini di legno con gli arti mobili come statue da porre nelle chiese e portare in processione. Ovviamente, vestendole con panni autentici, preziosi e delicatissimi, doni della popolazione locale.

Oggi impressionano per la loro semplice funzionalità, ma vanno immaginate ritte sopra un altare. In Liguria inoltre c’è una grande tradizione legata al presepe. In Italia è noto il presepe tradizionale napoletano ad esempio. Nella penisola iberica quello catalano. Genova e la Liguria però hanno prodotto statue da presepe.

La capacità degli scultori genovesi nasce nei cantieri navali e diventa spettacolare trecento anni fa, creando figure sacre e di pastori, mercanti, artigiani, schiavi del porto… figure che facevano sognare anche i bambini di Triora… ovviamente quelli delle più ricche famiglie.

Il Natale è ancora oggi calore per la Comunità. L’inverno, qui, è ammaliante.

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Margherita Brassetti, Tommaso Reggio: Triora attira la dedizione religiosa

Triora è un luogo spirituale. Si potrebbe dire, da sempre. Immersi in uno scenario naturalistico straordinario e intatto, si avverte sempre una vicinanza alla forza del Creato. Sia nella dimensione precristiana che in quella della cristianizzazione, le persone e le realtà religiose hanno reso celebre Triora. Sono innumerevoli i religiosi presenti o nativi di Triora noti nel corso degli ultimi 500 anni.

Alcuni di loro hanno ricoperto ruoli molto rilevanti lontano dalla città natale. Tanta spiritualità si materializza anche nell’aver vissuto da protagonisti alcuni passaggi rilevanti, come la predicazione di San Vincenzo Ferrer e quella di San Bernardino da Siena nel 1418, mentre va indagata una certa attenzione locale alla riforma protestante, cosa comune per le Terre Alte della Liguria.

A livello simbolico e non solo, il punto di riferimento è ben visibile sul territorio. A suo tempo collocato nell’ambito del comune di Briga e poi dal 1947 in quello di Triora, nei pressi della cima del Monte Saccarello, a 2200 metri, si trova l’elevata statua in bronzo del Cristo Redentore. Si è creata così una sinergia importante, dal mondo precristiano che guardava alle montagne come divinità alla presenza del divino sulla cima.

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La statua è stata voluta per celebrare il giubileo del 1900, così come altri 19 strutture presenti su alte vette in tutta Italia. Il progetto piacque molto all’arcivescovo di Genova, Mons. Tommaso Reggio, proclamato Beato della chiesa cattolica nel 2000.

Il suo confessore era di Triora: uno dei tanti religiosi di cui si è detto. Giuseppe Giauni, infaticabile nel progetto. Invero, la statua, di produzione francese, ebbe una vicenda complessa, poiché è stata posta sul piedistallo in pietra solo nel 1902.

Due figure eminenti vengono ben ricordate nel contesto museale di Triora.

Tommaso Reggio è innamorato di Triora. Vi si reca proprio per seguire da vicino la collocazione della statua, opera un’intensa azione apostolica, che porterà anche alla presenza delle benemerite suore di Santa Marta in Triora. Purtroppo morirà proprio a Triora dopo breve malattia, il 22 novembre 1901. Senza aver visto la collocazione della statua. Avrebbe tanto voluto essere sepolto nella città montana che amava, ma la salma fu portata a Genova.

Nello stesso periodo giunse a Triora Margherita Brassetti. Nativa di Cagliari (1877), contribuì alla realizzazione della statua con una somma, allora ingente, di 10.000 Lire e si attivò per anni nell’animazione religiosa e nell’associazionismo cattolico.

Quante cose racconta Triora. Anzi, la “mistica Triora”, come la definì il Beato Tommaso Reggio.

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Stare insieme. Socialità a Triora.

Il senso della Comunità si concretizza anche nella secolare vicenda di forme associative. La più antiche hanno valenza religiosa: le Confraternite, come quella di San Giovanni Battista, della Buona Morte, di San Luigi e ancora quelle dei centri abitati presenti nel territorio comunale, la Confraternita del Santo Spirito, le Compagnie legati agli altari negli edifici sacri, i gruppi di preghiera femminili.

Questo vuol dire uguaglianza nonostante i livelli sociali differenti, nonché pratiche di devozione, patrimonio di usanze e feste, reciproco aiuto e sostegno ai poveri. Le associazioni tra pastori, normalmente intitolate a San Rocco, erano attive nel sostegno economico della Chiesa, con fini di protezione durante il duro mestiere nei campi.

In tempi recenti sono state importanti le realtà che si sono occupate della Cultura locale e di un recupero della memoria, consegnandoci, per esempio, parte importante dell’esposizione museale. L’Associazione Turistica Pro Triora, ad esempio, è stata ed è fondamentale nella conservazione della memoria locale e nell’informazione agli ospiti. Con lo stesso spirito si formano gruppi di lavoro e di attenzione ai simboli del territorio, quale il Comitato Pro Saccarello che si occupa della manutenzione della statua del Redentore e dell’area circostante.

Di notevole livello identitario è poi l’associazionismo brigasco, con campo d’azione tanto in Italia quanto in Francia e legato a storiche riviste di informazione, redatte anche nella propria parlata.