Gli abitati
Qui ogni pietra ha una storia da raccontare
Visitare il sistema museale di Triora non vuol dire solo conoscere l’esposizione didattica, ma permette di vivere Triora e il suo territorio. Ci si può addentrare nell’abitato principale, visitando i piccoli insediamenti collocati in uno spazio montano che pare sconfinato. La pietra, come il legno, sono protagonisti.
La pietra si vede, si tocca, ci parla. Il legno sostiene, protegge, divide. Legno per solai, per finestre e portoni, alcuni molto antichi. Sopravvivenze liguri. Ciò che è buono non si cambia. La pietra ha valore simbolico totale. Qui si conosce la pietra e soprattutto l’ardesia locale.
Utilizzate queste righe per una preparazione alla scoperta di un tesoro. Avete un campo di gioco composto dai quartieri: visitate i musei, siete entrati in Triora dalla Porta, poi potete salire alla Cima. Incontrerete i palazzi signorili più rielevanti. Altri edifici solo sulla Cima.
Poi perdetevi andando verso il basso nella Camurata e nella Sambughéa. La Camurata indica l’abitato difeso da mura. Portatevi fino al Poggio, proteso verso la valle Argentina. I tesori da cercare ci sono. Incroci di strade porticate. Case che hanno base sei o sette piani più in basso.
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Il passaggio del Cappuccino vale il viaggio. Cisterne e fontane hanno seicento anni e ce ne sono tre nel paese. Il tesoro da cercare è nei portali in pietra. Si parte da quelli di ottocento anni fa, almeno e si arriva al semplice modello in ardesia con stipiti e architrave lisci.
Ci sono diversi portali arcaici murati, perché le case sono cambiate nei secoli. Ci sono portali e finestre con l’architrave distinto da una incisione a punta centrale, cosa che richiama un modello della vicina Provenza. Ci sono portali con il trigramma YHS, che a Triora conoscono bene perché lo mostrò qui San Bernardino da Siena nel 1418. Altri con l’Agnello di Dio, simbolo di San Giovanni Battista. Ci sono rilievi con fiori, con volti dei proprietari, con libri ed oggetti, il sole e la luna, figure barbute, tutti arcani e misteriosi. Le iscrizioni volute da persone di notevole cultura. Per proteggere la casa o far capire chi ci abitava. Osservate gli stipiti delle porte: ci trovate spesso antiche incisioni: persone, simboli, oggetti, nomi e date.
È un mondo di pietra, vivo, che riflette i tipi di case. Ci sono tutte quelle storiche della Liguria montana. Le case medievali rimaste con i tre piani originari, le case popolari incastrate una nell’altra, i palazzi dell’alta società, con più di dieci stanze. Una città in cui hanno lavorato tanto i muratori locali quanto scalpellini e muratori lombardi, i maestri antelami.
Se sono venuti qui dall’area del lago di Como, sono stati sicuramente attirati dalle notevoli possibilità offerte da un mondo sì montano, ma esigente e ricco, di Cultura e di risorse naturali.
La viabilità storica: camminare come una volta, come sempre
Si può prendere un’antica mappa del territorio di Triora. Che abbia 200 o 400 anni cambia poco. Le strade sono quelle scelte e mantenute nei secoli. L’uomo del passato, con il suo mulo, amava la strada più veloce anche se ripida, perché era un buon camminatore. La sfida è qui, per noi, oggi.
Quella mappa ci fa vedere almeno otto strade storiche, selciate in pietra, che escono dall’abitato di Triora. Passaggi che hanno migliaia di anni. Quelli necessari per andare verso il mare, non a caso con la cappella della Madonna del Buon Viaggio sotto l’abitato. In generale, però, si sale. La rete di collegamenti è come una ragnatela che raggiunge ogni abitato, piccolo o grande che sia. Su larga scala è come un ventaglio. Salendo a destra, guardando Corte, salirete sulla via sotto i pascoli del Monte Fronté.
A sinistra incontrerete abitati come Bregalla, Creppo, verso il Molino di Verdeggia, per inoltrarvi in terra brigasca, che, un tempo, voleva dire “andare all’estero” per Triora. Questa è una grande strada pastorale. Al centro si sale in modo ripido, verso i monti Trono e Pellegrino.
Là dove il mistero storico pone origini e protezione della Comunità, dove si va in processione la seconda domenica dopo la Pasqua, per un voto religioso che nasconde un mito molto più antico. Si raggiunge il passo di Garlenda. Garlenda, termine provenzale, franco, waron: la corona dei monti di Triora che permette di andare ai prati del Tanarello, per i pastori e pensare al Piemonte per chi commercia, viaggia, va all’avventura. Come voi, come tutti.
La terra brigasca
Dal 12 ottobre 1947 il territorio comunale di Triora comprende anche una porzione di quello che era il Comune di Briga Marittima. Dunque: capoluogo, Briga, ora in Francia. Realdo e l’ambito circostante a ridosso dell’arco alpino, dalla parte marittima, per Triora e altri centri in Piemonte, a formare il comune di Briga Alta.
Essere brigaschi non vuol dire essere di Triora. C’è differenza. In più, i brigaschi sono presenti oltre la terra brigasca. Ad esempio, il cognome più diffuso nella provincia di Imperia è “Lanteri”. Lanteri, come Pastorelli o Dani, sono cognomi brigaschi. Dunque, un territorio politicamente diviso, ora più unito nel contesto europeo di superamento dei confini, ma al tempo stesso composto di una grande attenzione ad un’unicità culturale.
Di fatto il territorio brigasco si raggruppa attorno a montagne elevate, oltre i 2000 m. Però “le montagne uniscono”, come ricorda un detto provenzale. Essere brigaschi vuol dire parlare un idioma ligure alpino e aver vissuto la comune vicenda economica e storica, pastorale, commerciale, architettonica, di un feudo montano, senza sbocco al mare: sembra cosa impossibile per una regione che tutti identificano nel suo mare. Eppure, nel passato, le prospettive erano diverse.
In rapporto alla cultura brigasca il Comune di Triora è riferito alla minoranza occitana secondo la legge del 15 dicembre 1999, n. 482, Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche.
Il dialetto, a Triora
Il territorio comunale di Triora non ha ormai una densità abitativa molto alta. Vero è che tante persone, nei grandi centri della costa, hanno origine qui.
Sempre sul territorio convivono ormai due dimensioni linguistiche, quella propria di Triora e quella dell’area brigasca. Il dialetto di Triora va considerato con le sue trasformazioni, in rapporto alla riduzione del numero di persone che lo parla. Eppure, è bene saperne qualcosa, perché i luoghi che conoscerete visitando Triora e il suo ambiente naturale, sono identificati da nomi dialettali, seppure italianizzati.
A Triora si definisce una parlata ligure alpina, molto caratteristica. L’impronta fortemente ligure è anche legata al controllo genovese sul posto, che nasce 800 anni fa. Fra le curiosità che meritano il ricordo c’è il grande numero di proverbi, direttamente collegati all’attenta osservazione delle campagne e della Natura.
Altro segno distintivo molto emotivo era l’indicazione del vincolo del matrimonio. Marito e moglie erano una persona sola. Se la moglie parlava del marito usava un pronome doppio: “nuie(r)”, ossia ‘noi-lui’, e lo stesso faceva il marito per “nuiela”, ossia “noi-lei”.
Triora, infine, va considerata una città, con differenze storiche tra i quartieri. Tali differenze si esprimevano anche nel dialetto: le aree “popolari” di Sambughea, Camurata e Poggio usavano termini differenti, soprattutto per oggetti e arredi della casa, se presenti, rispetto ai benestanti della Cima e della Porta.
In più le località isolate avevano loro declinazioni dialettali specifiche.